Gli attacchi russi mostrano una crescente potenza distruttiva e si accaniscono contro la macchina bellica che alimenta la resistenza ucraina. Nonostante i bollettini di Kiev, che riportano un alto numero di ordigni intercettati, c’è la convinzione che negli ultimi mesi i droni e i missili di Mosca stiano infliggendo danni più significativi.
L’obiettivo principale del Cremlino ad agosto e settembre sono state le fabbriche militari e i magazzini usati per distribuire i materiali provenienti dall’estero, situati spesso all’interno di centri commerciali come quello distrutto ieri alle periferia di Leopoli. Il ha sottolineato che solo ad agosto ci sono stati almeno quattro raid importanti contro aziende di velivoli teleguidati.
In genere i generali russi mandano contro questi bersagli molto protetti le armi migliori: i missili balistici Iskander-M, gli ipersonici Kinzhal e i cruise KH-101. Nell’assalto di sabato notte ne hanno lanciati ben 53: una bordata terrificante che incontra ostacoli sempre più deboli. La reazione ucraina infatti starebbe perdendo efficacia. La percentuale di ordigni balistici come gli Iskander M che viene abbattuta è calata drammaticamente: si è passati dal 37 per cento di agosto al sei per cento di settembre. Una crisi dovuta a due motivi.
Il blocco degli aiuti gratuiti statunitensi, sostituiti da Trump con il nuovo meccanismo di vendite all’Ucraina pagate dai Paesi europei, ha rallentato le consegne di Patriot: le batterie terra-aria più moderne si sono ritrovate a corto di munizioni. Allo stesso tempo, gli ingegneri russi hanno perfezionato i loro sistemi d’attacco: cambiano direzione durante il volo, seminano inganni elettronici per confondere i radar dei Patriot o sparano “palle di fuoco” per evitare gli intercettori a guida infrarossa. Anche due basi dell’aviazione di Kiev avrebbero subito bombardamenti pesanti, condotti con gli ipersonici Kinzhal, provocando un rallentamento nell’attività dei caccia ucraini.
Gli sciami con centinaia di droni servono a tenere impegnata la contraerea, spesso obbligata ad abbattere “esche” prive di esplosivo, e vengono mandati a colpire installazioni civili che dispongono di protezioni meno agguerrite. Gli Shahed-Geran si dirigono contro le reti energetiche ucraine, tornate a essere un bersaglio prioritario: da una settimana ci sono attacchi in tutte le città, che provocano l’interruzione della luce e del riscaldamento. Era già accaduto negli scorsi anni, ma questa volta i raid russi paiono ancora più devastanti: colpiscono i gasdotti, le centrali, le cabine di trasformazione, i tralicci dell’alta tensione. In alcuni casi, scagliano due raffiche di droni a distanza di venti-trenta minuti l’uno dall’altro, in maniera da colpire pure i tecnici delle riparazioni e le squadre di soccorso.
Oltre a privare di corrente la popolazione e le industrie, le incursioni degli ultimi giorni sono una rappresaglia per la campagna di bombe volanti ucraine che tormenta le raffinerie russe e comincia a rendere problematici i rifornimenti nelle stazioni di servizio di molte città: una doppia ferita per il Cremlino, che sfregia la credibilità e il portafoglio del regime putiniano. Pure gli assalti contro i treni – l’unica zona franca che era stata rispettata in quaranta mesi di guerra – sembrano una ritorsione dopo i bombardamenti ucraini contro stazioni ferroviarie, binari e depositi, condotti per prevenire un’offensiva estiva.
Nel portare avanti l’occhio per occhio sull’energia, però, si comincia a temere che Putin possa esagerare: Mosca infatti sta colpendo pure le centrali nucleari. Dopo aver disconnesso quella occupata a Zaporizhzhia dalla rete elettrica ucraina, in una settimana ha condotto attacchi contro altri due impianti atomici: ovviamente non va a colpire i reattori, ma gli elettrodotti che trasportano l’energia. C’è un rischio, che finora gli ingegneri ucraini sono riusciti a impedire: il collasso del sistema elettrico nazionale, generando un blackout totale. Uno scenario che può compromettere pure la sicurezza degli impianti radioattivi, minacciata anche dagli ordigni che piovono a soli 800 metri. Un altro incubo che si affaccia sulla frontiera orientale dell’Europa.
