Queste vite, vite di donne vive. Di persone che brillano come stelle e volano come comete. Velocissime, le scie. Devi stare nella notte con gli occhi aperti e rotondi come padelle, per vederle. Le code delle comete sono incanto per occhi buoni, occhi bambini. Queste parole che suonano, cantano. Parole che si incagliano nelle mie, disturbandole, e poi si incastrano, rivelandole. Una storia, un’altra, un’altra. Un volto, sempre diverso il tratto del disegno. Quante vite che non sono la mia, eppure potrebbero. Perché non sono e non sono stata – mi domando – tatuatrice alpinista astronoma motocrossista pasticcera poetessa regina. Trombonista giudice genetista piratessa dei mari imperatrice spia. Avrei potuto, no? Forse potrei ancora.
Conteniamo moltitudini, del resto. Prendiamo un’identità principale, a un certo punto della vita, ma avremmo potuto benissimo imboccare un’altra direzione: è sempre una questione di circostanze, noi siamo le nostre circostanze.
Il Paese e il tempo in cui nasciamo e che non abbiamo scelto, è andata così, la casa in cui viviamo, i genitori che ci toccano in sorte, i fratelli, gli amici. E gli insegnanti, quanto contano gli insegnanti nella spinta a destra o a manca, nei bivi principali del viaggio. E la musica che abbiamo ascoltato e i libri che abbiamo letto e il panorama che abbiamo visto dalla finestra di casa, dai finestrini delle macchine, dei treni. Per non parlare degli amori. Ah, gli amori. I disamori, gli incontri e i disincontri. Siamo il risultato di quello che ci è successo, sì: però lo sappiamo, in fondo da qualche parte nel corpo lo sentiamo, che questa che stiamo vivendo è solo una delle infinite possibilità. Sappiamo, in certe notti senza sonno, che dentro di noi si nascondono e si parlano vecchi bambini e ragazze ribelli, ancor più ribelli di noi, gatti e conigli. Sono lì, fra la pancia e il cuore, ci guardano vivere. Talvolta commentano.
Non potrei mai dimenticare quel giorno, dieci anni fa, quando arrivò sulla mia scrivania un libro – – con una copertina che sembrava un cielo notturno e una scatola di caramelle, una di quelle scatole rettangolari di latta che quando i dolci finiscono ci metti i fili per cucire, di solito. Sì, soprattutto i fili: tessere rammendare riparare. Tenere insieme quello che si è rotto, quello che insieme non sta. Come faceva Maria Lai, silenziosa e tenace: legava i paesi alle montagne, cuciva le pagine dei libri. Ma anche lettere, ci tieni a volte in quelle scatole scintillanti. Biglietti di concerti, denti da latte, ciuffi di capelli, bottoni, sassi lisci.
Tracce di una traiettoria che nessuno saprà più interpretare, dopo di te. Tracce del tuo cammino, senza istruzioni. Non potrei mai dimenticarlo perché pensai, con disincanto: ah, brevi storie di donne notevoli. Senz’altro le conosco tutte. Del resto questo avevo fatto fino a quel momento, tutta la vita: ascoltare, raccogliere e raccontare storie, soprattutto storie di donne. Quindi: la mia materia, diciamo così. La mia attitudine e la mia passione.
Invece no. Non ne conoscevo quasi nessuna e di quelle che conoscevo non sapevo quel dettaglio, quell’aneddoto che in poche righe – venti, venticinque – retro illuminava l’intera loro vita. Quando è comparsa Jessica Watson, la velista australiana che ha fatto il giro del mondo in solitaria a 16 anni, ho saputo che da piccola aveva paura dell’acqua, era incapace persino di fare il bagno in piscina. «Non puoi cambiare le circostanze ma solo il modo in cui le affronti», ha scritto. Quanto mi ha accompagnato, da quel momento in avanti, questa frase. Non dipende da te quello che ti succede ma dipende sempre da te come reagisci. Se ridere, se piangere, sta a te. Sempre.
Ora direte. Quante rassegne, quanti libri, quante opere, quanti podcast di autrici oggi celeberrime e acclamate come ispiratrici, quanti scrittori e scrittrici, quanti attori e attrici hanno raccontato e messo in scena donne eminenti, le hanno riscattate dalla dimenticanza programmata e riportate nella storia. Moltissimi, decine e centinaia. È diventato un genere, o come si dice adesso nella neolingua: un format. Persino in tv, persino al cinema. Biografie di donne oscurate o sminuite dalla storia. Come tutte, del resto. Come tutte. Sorelle di, amanti di, orfane di. Muse ispiratrici. Compagne capaci di fare un passo di lato, un passo indietro, al cospetto del genio. Dell’eroe del rivoluzionario dell’artista. Ancora oggi, non crediate: ancora oggi quando qualcuno mette insieme una lista di nomi per un dibattito, una manifestazione democratica di piazza, le donne convocate sono per la maggior parte, se non soltanto, attributo e appendice di qualcuno. La sorella della vittima. L’orfana del martire. La vedova del genio. Oggi però le ragazze sono più attente, sono allenate a respingere le trappole e – per esempio – a pretendere che le paghino, per il loro lavoro, quanto pagano un uomo. Non che sempre accada, ma chiedono e protestano ad alta voce. Sono cresciute così, fortunatamente. Sono cresciute ascoltando storie di bambine ribelli.
Dieci anni fa era dieci anni fa. Un libro come questo non c’era, prima, ed è questo libro ad aver aperto un varco che è diventato una crepa, poi una voragine, poi un oceano. Sì certo. C’erano stati molti appassionati tentativi, prima. Ma questo libro, in apparenza semplice, si è aperto una strada planetaria, è diventato un successo così indiscutibile da risvegliare gli appetiti di chi genera consenso e sul consenso produce profitti, perché il consenso funziona così: si moltiplica dove già si celebra. Perciò da allora, come per quel famosissimo settimanale di parole crociate, si sono moltiplicate e infinite sono state le repliche, le imitazioni.
Esistono settori nelle librerie, oggi, dedicati a storie di donne. Meno male. Interi settori. Prima non c’erano. Il modo in cui il libro era nato poi era una storia nella storia. Anche quella era una favola. Le autrici avevano fatto tutto da sole. Avevano scritto il libro in inglese e avevano aperto una richiesta di finanziamento diffuso, senza cercare un editore: in quattro mesi avevano raccolto più di un milione di dollari in oltre settanta nazioni. Con quei soldi commissionarono i disegni a sessanta illustratrici del mondo, dal Sudafrica al Brasile, dall’America all’Italia. Vivi come se il mondo fosse già quello che vuoi. Se lo puoi sognare lo puoi fare. Fallo. Diventa turbine e tormenta, diventa rivoluzione. Se la storia non ti prevede, cambia la storia. Inoltre, abbiamo saputo dalle : tutto si può dire in venti righe, al massimo trenta. Questo sia ricordato per chi lascia vocali da sei minuti, per chi esibisce anelli di fidanzamento costati milioni, orrendi, per chi aumenta e aumenta il volume delle proprie membra e l’esibizione di sé. Basta poco, invece, ragazze. Bisogna togliere, asciugare, togliere. L’essenziale. Una frase, un rigo appena. Disse Florence Nightingale, infermiera di guerra inglese: «Non ho mai accampato né accettato scuse». Disse Jane Goodall, primatologa, che ha vissuto in Tanzania una vita intera con gli scimpanzé: «Solo se comprendiamo, ci prendiamo davvero cura. Solo se ci prendiamo davvero cura, aiutiamo. Solo se aiutiamo, saremo tutti salvi».
Saremo salve, saremo libere. Non avremo più nemmeno bisogno, alla fine, di essere ribelli. È bello, essere ribelli. È vero, è bellissimo. Basta che siate voi, che siamo noi a scegliere a cosa ribellarci. Non facciamocelo suggerire da nessuno.
