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Con san Newman papa Leone risponde all’ideologia tech

Nella Silicon Valley la parola “meritocrazia” è il vangelo dell’efficienza, il mito di chi si costruisce da sé. Ma ora, una delle aziende simbolo di questo culto, Palantir Technologies, ne ha riscritto la liturgia. Il suo ceo, Alex Karp, e il suo presidente, Peter Thiel, hanno lanciato il programma Meritocracy Fellowship, un esperimento che invita ventidue studenti delle superiori a saltare il college. «Skip the debt. Skip the indoctrination. Get the Palantir degree», proclama lo slogan. Niente debiti, niente indottrinamento: solo quattro settimane di seminari sulla civiltà occidentale — da Platone a Tocqueville — e poi un posto tra gli algoritmi dell’azienda. Il programma, mirato a studenti eccellenti che si impegnano a non essere iscritti a un’università accreditata per l’autunno successivo, offre un compenso mensile stimato di 5400 dollari, evidenziando come la velocità e la competenza specifica siano diventate moneta sonante nell’economia tecnologica, superando il valore percepito della formazione accademica tradizionale.Il messaggio è chiaro e spietato: l’università non serve più, educare è una perdita di tempo, ciò che conta è saper fare.

È un gesto di rottura, ma anche una mossa politica. Palantir, che vive di dati e Intelligenza artificiale, non si limita a reclutare: modella il futuro dell’educazione come campo di battaglia tra libertà e potere economico. Il modello proposto da Palantir, con un percorso intensivo che combina una rapida infarinatura umanistica con un’immersione tecnica immediata, riflette una visione che privilegia l’addestramento funzionale sull’educazione liberale, un pilastro della tradizione universitaria occidentale. L’obiettivo è quello di creare figure immediatamente operative, “ingranaggi” ad alta prestazione, capaci di contribuire ai prodotti e ai risultati dei clienti di Palantir, spesso enti governativi e di sicurezza.

Questa è una sfida enorme. Negli Stati Uniti è ormai aperta, e si fa strada l’idea che l’educazione possa diventare un servizio privato, regolato dal mercato. I colpi di mannaia inferti dall’amministrazione Trump al mondo accademico sono un sintomo più che una causa. Le università americane sono sotto pressione per i crescenti costi, l’enorme debito studentesco che supera 1,7 trilioni di dollari, e le accuse di eccessivo “indottrinamento” o, all’opposto, di irrilevanza rispetto alle esigenze del mercato del lavoro. Questa congiuntura crea il terreno fertile per alternative radicali come la Meritocracy Fellowship, che promettono una via d’uscita rapida ed economica dalla “trappola del debito” (skip the debt). La risposta del mercato, guidata da queste aziende, è di offrire un percorso di acquisizione di competenze (skill acquisition) al posto di un percorso di sviluppo della persona (person formation).

È in questo contesto che si è sentita risuonare nei giorni scorsi un’altra voce. A Roma, il papa americano Leone XIV ha pubblicato la lettera apostolica , per il Giubileo dell’educazione. Le sue parole suonano di fatto come un controcanto alla Silicon Valley. Il pontefice ha voluto rilanciare con forza il Patto educativo globale del predecessore Francesco, focalizzandosi su tre nuove priorità: vita interiore, tecnologia e pace. L’educatore non è un tecnico dell’apprendimento ma un testimone di umanità. L’allievo non è un ingranaggio e l’educazione è una “costellazione” che tiene insieme cuore, mente e mani, scrive il pontefice. L’educazione è un altro nome della pace perché porta a conoscere le differenze e a crescere nella capacità di dialogo.Insomma, da un lato, la scorciatoia brillante del learning by doing, promessa di guadagno e successo immediato; dall’altro, la fiducia in un processo che matura nel tempo, nell’errore, nell’incontro. E qui entra in scena san John Henry Newman, proclamato il primo novembre scorso da Leone XIV Dottore della Chiesa e copatrono degli educatori, affiancando San Tommaso d’Aquino. Newman aveva già intuito l’equivoco moderno. Nel suo capolavoro, , ammoniva che ridurre l’università a officina di competenze significava tradirne lo spirito. Il sapere, diceva, non serve perché “produce” qualcosa, ma perché allena la libertà dell’uomo. La sua concezione di conoscenza liberale (liberal knowledge) non è fine a sé stessa, ma serve a dare all’uomo una visione chiara, a sbrogliare pensieri confusi e a vedere le cose come sono, preparandolo non a un mestiere, ma a vivere pienamente. A creare il gentleman, come diceva lui. Non il businessman, dunque.