Italiano

Elisabetta e quel tris di regine che fecero grande l’Inghilterra, il libro di Natalia Augias

Quando Cherie Blair accompagnò il marito a Balmoral, residenza scozzese dei Windsor, per il suo primo incontro con Elisabetta II, la regina sapeva che difficilmente sarebbero andate d’accordo: notoriamente repubblicana e socialista (assai più di Tony), per di più la first lady rifiutava di farle l’inchino, come previsto dal protocollo. «Non appena entro in una stanza», ironizzò più tardi la sovrana, «le sue ginocchia sembrano irrigidirsi». Forse anche per questo Elisabetta non provava molta simpatia per il nuovo premier laburista, sebbene fosse stato proprio Blair, pochi mesi dopo la visita in Scozia, a salvare la monarchia da un catastrofico passo falso, convincendo Sua Maestà a esibire pubblico cordoglio per la tragica morte della principessa Diana.

«Quella dimostrazione di empatia, in cui Blair era molto bravo e la regina per niente, era diventata una parte importante della nostra cultura politica», ricorda lo storico Dominic Sandbrook. «Elisabetta sapeva di essere stata salvata dal suo primo ministro, ma non le piacque nemmeno un po’». Nessuno ama essere in debito con qualcun altro. Tantomeno una regina.

Il duplice aneddoto è uno dei tanti narrati da Natalia Augias in (Einaudi), una storia della Gran Bretagna filtrata attraverso le vicende della monarchia che ne è l’emblema. Storia che sarebbe lunghissima, fitta di date, battaglie e dinastie, complicate fin dal nome, come quella dei Plantageneti, che l’autrice, corrispondente da Londra della Rai, condensa abilmente concentrandosi, come afferma dall’inizio, sui reali più significativi. In particolare, punta l’attenzione su tre sovrane eccezionali: Elisabetta I, Vittoria e Elisabetta II, giustamente definita “l’ultima regina”, poiché con tre generazioni di eredi maschi, Carlo, William e George, bisognerà aspettare un pezzo prima di vederne un’altra sul trono.

Nel libro c’è spazio anche per grandi uomini, inevitabilmente in un Paese che ha dato al mondo Shakespeare, Darwin, Churchill, ma come protagonisti, aggiungendo Diana, Camilla e Kate alle suddette sovrane, ha soprattutto le donne. Basterebbe questo a suggerire perché “l’isola delle meraviglie” della tempesta shakesperiana, pur incarnando la tradizione, è da sempre un laboratorio di innovazione, modernità e progresso. Trovata una comoda etichetta, per pigrizia noi giornalisti abbiamo spesso l’abitudine a mantenerla viva anche quando non vale più: le sue pagine invece smontano gli stereotipi, a partire da mai lamentarsi e mai dare spiegazioni, vecchio codice della royal family (che oggi invece si lamenta e spiega a tutto spiano), lasciando emergere come cambia una civiltà.

Per fotografare il cambiamento, la monarchia è uno specchio perfetto. Nel 2022, alla morte di Elisabetta, si legge nel capitolo conclusivo, l’Inghilterra è un Paese ben diverso da quello che l’ha incoronata: «L’età media è quarantasei anni, dieci più di quando è salita al trono, l’aspettativa di vita è passata da sessantanove a ottantun anni, nascono undici bambini per ogni mille residenti rispetto ai quindici del 1953 e l’economia nazionale è stata superata da quella dell’India, ex colonia di un tempo».

Questo piccolo regno ha perso l’Impero più grande di ogni epoca e (a causa della Brexit) il legame con l’Europa, ma continua ad avere qualcosa da insegnarci, grazie alla lingua inglese, alla resilienza (, mantenete la calma e andate avanti, slogan della Seconda guerra mondiale: qualche etichetta rimane ancora attuale), al, la capacità di sorridere su tutto, specialmente su sé stessi, e alla monarchia: non per nulla quattro miliardi di persone, metà dell’umanità, hanno seguito in tivù i funerali di Elisabetta. Sì, come nelle fiabe c’era una volta un regno, racconta Augias nel suo stile asciutto ed elegante, più inglese che italiano (retaggio di una laurea in lettere a Bristol), «e ci sarà ancora, almeno per un po’».

Il libro

di Natalia Augias (Einaudi, pagg. 248, euro 16)