Sarebbe necessario sviluppare modelli di responsabilità più distribuiti per tenere conto dei molteplici agenti coinvolti nella progettazione, nello sviluppo, nell’implementazione e nel funzionamento dei sistemi di IA e per affrontare in modo soddisfacente il cosiddetto “gap di responsabilità” entro i limiti del diritto umanitario internazionale e dell’etica. Parimenti, occorrerebbe elaborare nuovi quadri di riferimento affinché la responsabilità morale e quella giuridica riflettano la natura distribuita del processo decisionale dell’IA: i tempi sono maturi, per esempio, per ripensare concettualmente ciò che intendiamo per responsabilità oggettiva (…).
Qualsiasi panoramica etica sull’IA sarebbe incompleta se non considerassimo i suoi impatti sociali più ampi. Come si è verificato nel passato per altre tecnologie, i sistemi di IA stanno assumendo compiti tradizionalmente svolti dagli esseri umani, con il possibile effetto di ridisegnare profondamente il mercato del lavoro, i sistemi educativi e le interazioni sociali. La differenza con le rivoluzioni precedenti, come quella agricola e quella industriale, risiede nel fatto che queste hanno richiesto, rispettivamente, millenni e secoli per avere un pieno impatto sulle società. Al contrario, la rivoluzione digitale, compresa l’IA, sta trasformando il mondo nell’arco di una sola generazione, la nostra.
I cambiamenti economici, sociali e culturali che ne derivano non sono solo profondi, ma anche incredibilmente veloci. Dobbiamo anticiparli e gestirli ora, per evitare di esacerbare le disuguaglianze e le fratture sociali. Non possiamo permetterci di affrontarli a posteriori, quando i costi umani, ambientali e finanziari per porre rimedio a ogni impatto negativo saranno astronomici. I colletti marroni (agricoltura o “bioware”) e i colletti blu (industria o “hardware”) sono stati sostituiti dall’arrivo del motore. I colletti bianchi (servizi o “software”) – che rappresentano, per esempio, oltre il 90% della forza lavoro negli Stati Uniti – sembravano al sicuro e pronti a svilupparsi ulteriormente. Tuttavia, la rivoluzione dell’IA sta automatizzando i mestieri dei colletti bianchi e può potenzialmente rimpiazzare i lavoratori, causando disoccupazione e difficoltà economiche.
Si tratta di una disoccupazione che non è dovuta alla mancanza di domanda – in qualsiasi società dell’informazione avanzata con una forte presenza dell’IA, come il Giappone, la Corea del Sud, Singapore o gli Stati Uniti, ci sono infatti molti posti di lavoro disponibili – quanto piuttosto a un disallineamento tra domanda e offerta (persone prive delle giuste capacità o competenze) e a un ampliamento del cosiddetto “divario digitale”, in questo caso rappresentato dalla disuguaglianza nell’istruzione e nell’accesso ai mestieri del futuro riguarderanno la gestione delle tecnologie digitali da parte dei colletti verdi.
Tuttavia, per evitare o mitigare gli effetti negativi, i politici e i leader del settore industriale devono prendere in considerazione quanto sia importante dal punto di vista strategico attuare riforme dell’istruzione, programmi di riqualificazione e altre reti di sicurezza sociale per la generazione che sopporterà le conseguenze peggiori di una rivoluzione così rapida. In altre parole, alcuni dei futuri vantaggi finanziari dell’IA devono essere distribuiti per affrontare i problemi attuali.
L’impatto dell’IA non solo accresce i vecchi problemi digitali e crea nuove sfide sociali, ma democratizza anche i rischi (nel senso informatico del termine, per cui tutti sono coinvolti) e globalizza le questioni. Dopo tutto, l’etica dell’IA non può essere confinata a un’unica prospettiva culturale o nazionale.
Consideriamo un primo esempio. L’impatto ambientale dell’IA riguarda la sostenibilità delle tecnologie di IA, il consumo energetico e l’impronta di carbonio dei data center, la produzione e il funzionamento dei sistemi di IA e la più ampia infrastruttura digitale alla base di queste tecnologie. I data center sono la spina dorsale dell’IA e richiedono enormi quantità di energia elettrica per scopi operativi e sistemi di raffreddamento, contribuendo così alle emissioni di gas serra. La produzione di hardware e dispositivi di IA incorpora processi molto dispendiosi in termini di risorse, tra cui l’estrazione di minerali delle terre rare e il consumo di acqua, che producono degrado degli ecosistemi e inquinamento.
Come se non bastasse, la riproduzione e la proliferazione delle tecnologie di IA aggravano questi effetti attraverso un effetto cumulativo: più dispositivi, più consumo di energia e più emissioni. Ciò solleva questioni urgenti sulle pratiche di sostenibilità all’interno dell’industria tecnologica e sulla necessità di soluzioni d’informatica ecologica. Migliorare l’efficienza energetica, utilizzare fonti di energia rinnovabile nei data center, implementare strategie di riciclo e riuso per i sistemi e i dispositivi di IA e utilizzare l’IA stessa per sostenere gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite costituiscono strategie ragionevoli.
Un approccio responsabile ed etico all’innovazione dell’IA in grado di coniugare il progresso tecnologico con la cura dell’ambiente, per mitigare l’impronta ecologica dell’IA, è possibile e va perseguito. L’alleanza tra il verde dei nostri ambienti naturali e artificiali e il blu delle nostre tecnologie digitali, in particolare l’IA, deve essere il progetto umano del XXI secolo.
Il libro di Luciano Floridi (Mondadori, pagg. 372, euro 22. Dal 4 novembre)
