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Nella Georgia in bilico. Tbilisi sceglie il suo futuro: nelle urne Ue o Russia

TRA ODZISI E TBILISI (GEORGIA) — Galline beccano tra girasoli rinsecchiti, mentre una mandria pascola davanti a un checkpoint presidiato da un pugno di soldati e qualche cane randagio. Poche casupole e un parco giochi abbandonato, a 50 km a Nord-Ovest dalla capitale Tbilisi, Odzisi ha l’apparenza di un villaggio bucolico. In realtà segna il confine con l’Ossezia del Sud, la regione georgiana occupata dalla Russia dopo la “guerra dei cinque giorni” del 2008 che conta 30mila civili e circa 3mila soldati russi.

Oltre la valle del fiume Ksani, si staglia un rettangolo di terra circondato da mura e torrette. È una base dei servizi di sicurezza russi Fsb che da lì scrutano ogni andirivieni, ergono confini nottetempo e arrestano i presunti trasgressori. «Spesso mi chiedono che cosa succederebbe se la Russia ci invadesse», osserva dietro anonimato l’agente georgiano che ci guida in questo angolo del Caucaso meridionale. «È una domanda legittima, ma mi sorprende sempre, perché la Russia è già qui. Controlla Ossezia del Sud e Abkhazia, un quinto del nostro territorio».

Le parlamentari del 26 ottobre sono da tutti descritte come le più importanti da quando la Georgia è nata nel 1991 dalle ceneri dell’Urss proprio perché decideranno se questo Paese resterà nella morsa del Cremlino o riuscirà ad affrancarsene unendosi alla Ue.

La differenza con la Moldova

Se in Moldova, altra ex Repubblica sovietica, la popolazione è ancora in parte divisa, come ha testimoniato il testa a testa al referendum di domenica sull’adesione alla Ue, qui oltre l’80% dei 3,7 milioni di cittadini sostiene il cammino di integrazione. Il partito al governo da 12 anni, Sogno Georgiano, sta però facendo di tutto per sabotarlo.

Il suo fondatore e leader de facto Bidzina Ivanishvili, miliardario che ha fatto fortuna in Russia, controlla magistratura e stampa e ha fatto approvare provvedimenti liberticidi, come la cosiddetta “legge russa” che obbliga media e ong che ricevono fondi esteri a registrarsi come “agenti stranieri” o quella contro i diritti Lgbtq. «Nulla di nuovo. Quel che accade qui è già accaduto in Russia, ma allora la società civile non riuscì a opporsi. Siamo orgogliosi di aver protestato. Per molti di noi il voto è una continuazione delle manifestazioni dei mesi scorsi», ci dice Eka Gigauri, a capo di Transparency International, in un incontro promosso dai think tank Gnomon Wise e Cidob. Ma protestare non è bastato: a inizio luglio, la Ue ha dovuto sospendere il processo di adesione che era iniziato soltanto lo scorso dicembre.

Pur di ottenere un quarto mandato, Sogno Georgiano, tuttavia, sostiene di volere l’adesione alla Ue e ha tappezzato la città di cartelloni dove il logo del partito si mescola con le 12 stelle della bandiera europea. Cerca di presentare il voto come una scelta tra guerra e pace con onnipresenti manifesti elettorali che accostano le immagini in bianco e nero di un’Ucraina dilaniata dal conflitto a immagini a colori di una Georgia in pace. Promette persino che riprenderà il controllo di Abkhazia e Sud Ossezia facendo credere che Mosca vi rinuncerebbe se Tbilisi voltasse le spalle a Bruxelles.

L’opposizione: “Qui combattiamo contro la Russia”

Per l’opposizione, invece, la scelta è tutt’altra: tra Russia ed Europa. «È la nostra guerra di liberazione», ci dice Nika Gvaramia, ex volto di due tv indipendenti, ex ministro di Giustizia e Istruzione, che ha cofondato il partito Alahi dopo aver trascorso un anno in prigione.

«Stiamo combattendo contro la Russia, non solo contro Sogno Georgiano. Mosca investe molto per minare il nostro futuro europeo, soprattutto dopo che gli Stati centrasiatici hanno iniziato a distanziarsi», gli fa eco Salome Samadashvili, ex ambasciatrice a Bruxelles. Col partito “Lelo”, fa parte della coalizione d’opposizione che ha siglato la “Carta” promossa dalla presidente pro-Ue Salome Zurabishvili: promette d’instaurare un governo tecnico e promuovere le riforme chieste dall’Unione.



L’opposizione è in testa ai sondaggi, ma sul suo futuro pesano fratture e l’eredità divisiva di Mikheil Saakashvili, a capo del Movimento di Unità Nazionale (Unm), il riformatore diventato autocrate in carcere da tre anni per “abuso di potere”.

Sogno Georgiano, di contro, conta sul 40%, ma grazie al sistema proporzionale, che sabato sarà applicato per la prima volta, potrebbe vincere oltre la metà dei seggi anche con meno se uno o più partiti di opposizione non superassero la soglia di sbarramento del 5%. Perciò le tenta tutte. «Molti casi di frode avvengono già prima del voto, come pressioni e acquisto di voti», osserva Nino Dolidze, a capo di Isfed, ong di osservatori elettorali.

“Pronti a difendere i nostri voti”

L’opposizione è fiduciosa, ma teme l’indomani. «Vinceremo perché la Georgia non vuole rinunciare a ciò per cui combatte da trent’anni. Ma ci sarà da lottare, non ci facciamo illusioni. La transizione di potere ci sarà, ma la domanda è: di che tipo? Pacifica o no?», si chiede Samadashvili.

A Odzisi non ci sono segni di un imminente intervento militare russo, ma pochi credono che il Cremlino resterà a guardare davanti a una vittoria del fronte Ue. Il Paese della Rivoluzione delle rose è però pronto a tornare in piazza. «Se i veri risultati delle elezioni non saranno riconosciuti — assicura Gvantsa Tsulukidze, del Programma sullo stato di diritto d’Iniziativa democrazia georgiana (Gdi) — difenderemo i nostri voti».