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Putin incontra Witkoff a Mosca, ma prima invita le sue truppe a continuare a combattere

Più i colloqui di “pace” entrano nel vivo, più Vladimir Putin sfoggia la mimetica per visitare il fronte e incontrare le truppe impegnate a combattere in Ucraina. È il suo portavoce Dmitrij Peskov a rivelare, soltanto nella tarda serata di lunedì, che il giorno prima il presidente russo ha visitato un posto di comando delle forze armate per la terza volta in meno di due mesi.

Il capo di stato maggiore Valerij Gerasimov lo ha informato della “liberazione” di Pokrovsk nella regione di Donetsk e di Volchansk nella regione di Kharkiv nonché di decisivi combattimenti in corso a Huljajpole nella regione di Zaporizhzhia. Mentre Putin ha invitato i generali a «fornire alle truppe tutto il necessario per condurre le operazioni militari durante gli imminenti mesi invernali». Parole che non preludono affatto alla ricerca di un compromesso durante l’incontro di oggi con Steve Witkoff.

L’incontro tra Putin e Witkoff sul piano di pace

L’inviato statunitense è volato a Mosca per discutere con il leader del Cremlino del piano per la pace in Ucraina che era stato originariamente elaborato in 28 punti dagli Stati Uniti, ma è stato poi limato e modificato insieme a ucraini ed europei.

Sull’incontro Peskov resta nel vago. Si limita a dire che si terrà nel «pomeriggio» e che il presidente alla vigilia ha tenuto diverse riunioni preparatorie a porte chiuse. Si astiene dal fare previsioni perché non vuole cadere in quella che chiama “diplomazia del megafono”.

In nome del «successo del processo» negoziale, dice, «non intendiamo condurre alcuna discussione attraverso i mezzi d’informazione». La stampa governativa, barometro degli umori moscoviti, però, si sbilancia. E invita chiaramente a non farsi alcuna illusione.

“Nessuna speranza di un rapido accordo di pace”

, citando fonti vicine ai negoziati, avverte che non c’è «alcuna speranza di un rapido accordo di pace». All’orizzonte, semmai, c’è «una possibile rottura dei colloqui» che «non fa che confermare» che «una pausa nelle ostilità è attualmente impossibile» e che «l’Operazione speciale procederà senza drastiche manovre politiche nel prossimo futuro» fino alla «completa liberazione del Donbass».

«Con il passare delle settimane – è la stima del tabloid – la posizione negoziale di Kiev si indebolirà e lo Stato nella sua forma attuale dovrà affrontare una prova di tale portata da sovrastare qualsiasi cosa l’Ucraina abbia mai sperimentato dal crollo dell’Urss».

Il commentatore falco Dmitrij Popov si rallegra perché l’Europa è tenuta ai margini dei colloqui, ma soprattutto perché la Russia continua a negoziare direttamente con Washington e non con Kiev. «Tutto si sta muovendo a una velocità vertiginosa verso ciò che era predeterminato fin dall’inizio: il destino dell’Ucraina sarà deciso tra Russia e Stati Uniti. La formula inizialmente insensata del “nulla sull’Ucraina senza l’Ucraina” è stata cestinata».

“La colpa degli europei”

Popov ironizza sugli europei che «hanno elaborato i loro piani per tutta la settimana, esibendosi in danze sciamaniche con un tamburello, ossia ripetendo stantii slogan sull’impossibilità di cambiare i confini con la forza, sull’aggressione russa e così via».

Infine, esulta perché l’Europa si sarebbe «avvicinata all’orizzonte degli eventi di un buco nero. Se lo attraverserà, non ci sarà più ritorno. La Ue perderà definitivamente il suo ruolo nelle relazioni internazionali. La sua opinione sulla soluzione russo-ucraina non è più richiesta dalle vere parti del conflitto: Russia e Stati Uniti».

“Niente illusioni”

Se non c’è da essere ottimisti sull’esito dei negoziati da oggi, per la colpa è proprio degli «alleati di Kiev», dalla Ue alla Nato, che avrebbero riscritto “il piano Trump” «fino a renderlo irriconoscibile, incorporando proposte senza sbocco volte a prolungare l’azione militare» perché «hanno oggettivamente bisogno che il conflitto in Ucraina continui».

Il quotidiano invita perciò tutti a non dimenticare che, se Putin ha lanciato la cosiddetta Operazione militare speciale, lo ha fatto proprio per «contrastare le minacce esistenziali per la Russia rappresentate dalla Nato» e che, dunque, «la realtà geopolitica non permette di contare su concessioni significative da parte della Russia». La conclusione è ironica: «Niente illusioni. Ma c’è sempre spazio per un miracolo…».

“Kiev metta fine allo spargimento di sangue”

Certo, c’è chi non lo esclude. Interpellato da , l’ambasciatore speciale del ministero degli Esteri Rodion Miroshnik si augura che le «controverse dimissioni» del capo dello staff presidenziale ucraino Andriy Yermak portino l’Ucraina a «scegliere un percorso più pragmatico nei negoziati». «Con l’evolversi del conflitto, le condizioni per Kiev peggioreranno inevitabilmente e le prospettive dei negoziati dipenderanno dalla volontà della parte ucraina di dare priorità alla fine dello spargimento di sangue». Per la Russia è Kiev a doversi arrendere. Dal Cremlino, invece, nessuna concessione. E Putin lo ha ribadito ancora una volta.