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Sibiga, il successore di Kuleba: chi è il nuovo ministro degli esteri ucraino (e perché Zelensky l’ha scelto)

DNIPRO – Chi meglio di lui, l’uomo che co-scriveva i discorsi del presidente e organizzava le trame dei summit per la “proposta di pace” ucraina, potrà gestire questa fase imprevedibile del conflitto in cui tra tempeste di bombardamenti e tentativi reciproci d’avanzata, tra difesa e controffensiva, si sta cominciando finalmente a parlare davvero di negoziati? Chi meglio di Andrii Sibiga, il diplomatico per eccellenza, sarebbe potuto essere stato nominato ministro degli Esteri, come avvenuto oggi con ratifica della Rada?

L’uomo dei trattati, l’estensore con l’ex ministro della Giustizia Malyuska del decimo punto della Formula di pace, la “Conferma della fine della guerra”. Lui che a maggio 2021, nove mesi prima dell’invasione quando la pentola a pressione già iniziava a scaldarsi, da ambasciatore in Turchia fu richiamato come vice dell’ufficio presidenziale di Zelensky.

Il braccio destro

Era nel bunker col presidente e i suoi uomini più fidati, nei giorni in cui il mondo cambiava volto per la decisione di Vladimir Putin di lanciare la sua “operazione speciale” provando a colpire Kiev al cuore. Ed è lui che fu spedito a puntellare il ministero degli Esteri di Dmytro Kuleba quando la sua prima viceministra, Emine Dzhapparova, tatara di Crimea sposata con un molto più anziano oligarca, fuggì col marito in Europa subito dopo la nascita della terza figlia, a maggio di quest’anno.

Se ne va Kuleba, non per sua volontà. Conosciuto e apprezzato dalle cancellerie di mezzo mondo per impegno e moderazione, troppo stanco secondo il presidente Zelensky e la sua eminenza grigia Yermak per continuare a gestire un dossier decisivo come gli Esteri, in cui pure è sempre l’Ufficio presidenziale in prima persona a dare le carte; ma serve poi un fedele e motivato appoggio dal ministro che segua la linea senza tentennamenti e senza mettersi troppo in luce.

Gli errori di Kuleba

E Kuleba dava tante interviste ai media internazionali ed era molto presente sui social. La visibilità, il male peggiore nella politica ucraina. Paga le difficoltà a coinvolgere il Sud del mondo nel progetto di pace di Zelensky che tagliava fuori Mosca; paga un’immagine troppo forte per non diventare coprente per Yermak: ogni volta che il ministro incontrava Blinken, a casa volavano gli stracci. E poi Kuleba chiudeva gli occhi su scandali che in Ucraina non mancano mai, soprattutto quelli sotto le lenzuola con la moglie Svetlana che mostrava i Rolex e i Cartier facendo schiumare rabbia alle mogli dei soldati al fronte.

A Pokrovsk, intanto, ieri abbiamo visto il fungo dell’esplosione che si è mangiata la sottostazione elettrica, quel che restava della rete nel distretto. Ora tutti al buio lì e anche a Myrnohrad, lì accanto, che aveva 50mila anime e ora è un deserto: 2.500 resistenti, calano ogni giorno tra droni e colpi di mortaio. Ma a Pokrovsk restano in 26mila, ancora troppi mentre piovono bombe a guida remota che devastano tutto. Si va verso questo scenario maledetto in cui i russi non avanzano ma distruggono ogni muro. Così da ieri Pokrovsk non è più l’hub ferroviario delle evacuazioni nel Donbass: troppo pericoloso, è sotto tiro costante. Ha passato il ruolo a Pavlograd, molto più a Ovest in direzione di Dnipro.