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Solo quattro droni intercettati, il buco nei cieli dell’alleanza

Il messaggio del Cremlino è arrivato forte e chiaro: la Nato non è pronta per combattere la nuova guerra dei droni. Non è stato ancora fornito un bilancio ufficiale, ma le stime più attendibili sono esplicite: solo quattro velivoli russi sono stati abbattuti e almeno quindici sono caduti al suolo dopo avere esaurito il carburante. Uno è addirittura penetrato nel territorio di Varsavia per quasi trecento chilometri. La rete di sorveglianza ha funzionato, grazie alla presenza di un radar volante polacco e di quello italiano, permettendo di seguire le tracce di gran parte degli incursori. Il buco nella difesa però è più drastico: non ci sono sistemi sicuri ed economici per intercettarli. Ed è un problema che riguarda l’intera Alleanza atlantica, spiazzata dall’evoluzione del conflitto ucraino.

Il missile aria-aria utilizzato dal caccia F-16 polacco per disintegrare uno degli intrusi costa un milione di euro; i Patriot tedeschi che li hanno inquadrati ed erano pronti a far fuoco hanno un prezzo superiore a tre milioni mentre i droni Gerbera russi si costruiscono con 10-15 mila euro. Non è soltanto una questione di soldi. Quelli della Nato sono ordigni molto grandi – il dardo del Patriot è lungo più di cinque metri – e dopo la partenza lasciano cadere parti pesanti del motore – chiamate booster – con il rischio danneggiare o incendiare le case, colpendo nel sonno i civili ignari della battaglia aerea combattuta fino alle sei di mercoledì notte. «Usare quelle armi è come sparare a una mosca con un cannone», ha detto il generale polacco Jaros?aw Gromadzi?ski, in congedo da pochi mesi e molto critico verso i suoi colleghi.

Il comandante delle forze armate, Wies?aw Kuku?a, ha cercato di tranquillizzare la nazione con un’intervista televisiva: «Abbiamo dato l’ordine ai piloti di abbattere soltanto i droni con una carica esplosiva a bordo». E ha lasciato intendere che i sensori degli F-35 olandesi siano stati in grado di distinguere i diversi modelli degli aeroplanini russi: «Scoprono cose invisibili ai radar schierati a terra». Ma è una versione che suscita perplessità. I Gerbera sono droni , identici esteriormente ai micidiali kamikaze Shahed-Geran. Vengono assemblati in vetroresina e polestirolo per far sprecare munizioni alle batterie contraeree, permettendo così di scoprirne le posizioni o i radar. Solo in alcuni casi trasportano due-tre chili di plastico nascosti nella fusoliera; la maggioranza è disarmata. Alcuni di quelli finiti intatti al suolo mostrano la presenza di un serbatoio aggiuntivo di carburante, per aumentare il raggio d’azione. Almeno uno sembra dotato di una telecamera per la ricognizione. Tutti sono lenti: viaggiano a 100/130 chilometri orari e per inquadrarli i caccia supersonici sono costretti a rallentare, compiendo manovre pericolose. Per questo i comandi polacchi hanno fatto intervenire anche diversi elicotteri, più agili alle basse velocità.

Nonostante le cautele espresse dal generale americano Grynkewich, nominato due mesi fa da Donald Trump alla guida delle forze Nato in Europa, tutti nei vertici alleati sono convinti che Mosca abbia lanciato un’operazione deliberata. Un test delle capacità di reazione sulla frontiera orientale della coalizione, condotto anche dal territorio bielorusso come preludio all’esercitazione Zapad – ossia Occidente – che oggi toccherà il culmine con l’esibizione muscolare dell’asse tra Putin e Lukashenko. La sostiene che l’obiettivo principale fosse mettere alla prova la protezione dell’aeroporto di Rzeszow, l’hub degli aiuti bellici destinati all’esercito di Kiev. E secondo il i risultati del blitz sono stati incoraggianti per il Cremlino: venti droni hanno messo in crisi lo schieramento atlantico sul confine più caldo. I russi fabbricano più di tremila bombe volanti Shahed-Geran al mese: da gennaio a ieri sull’Ucraina ne hanno scagliate 35.698.

I governi europei, quello di Varsavia per primo, stanno investendo centinaia di miliardi per comprare armi sofisticate, dai tank ai cacciabombardieri F-35 fino alle batterie anti-missile, che però sono inutili contro i piccoli droni che da oltre un anno sono diventati i protagonisti del conflitto ucraino, con milioni di esemplari che causano oltre il 70 per cento dei caduti. Ora c’è la corsa a trovare scudi efficaci. Ursula von der Leyen ha dichiarato che bisogna costruire «un muro di droni sulla frontiera orientale».

Un modello illustrato ieri dal capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, il generale Antonio Conserva, in un’audizione a Montecitorio: usare droni-intercetta-droni, pilotati dall’intelligenza artificiale che – una volta autorizzati dai comandanti in carne e ossa – proteggano in modalità automatica le infrastrutture critiche come le centrali elettriche e le basi militari. In pratica, una sfida nei cieli tra robot guardiani e robot d’attacco, entrambi a basso costo. Quando saranno pronti? «Sono ottimista. Se ci saranno le risorse possiamo riuscirci in tre anni», ha concluso il generale Conserva.