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Ucraini sotto shock: “Uno schiaffo in faccia, i nostri morti invano”

«Andarmene ora? Non so, sono scioccata», dice Larisa. Cappotto e occhi chiari, il trucco pesante sotto le bombe, in questi anni di massacri a Sloviansk, nel cuore del Donbass ucraino, è stata una certezza. Ogni santo giorno vende barattoli e vasetti di frutta e verdura, e non è andata via nemmeno coi russi alle porte, nella piana di Raihorodok, prima che sparissero improvvisamente arretrando di chilometri. Piovevano bombe ogni ora, morti e stragi non facevano notizia e non c’era nulla di aperto e niente gas e niente luce; ma c’era Larisa, davanti al supermercato chiuso con i pannelli di legno, a tirar su qualche grivna sfamando con cipolle e cetriolini sott’aceto le anime dei soldati e dei civili barricate in città. «Non posso credere che ora tutto torni alla normalità», racconta al telefono. Sloviansk è martellata dai droni, è in blackout: «Voglio pace. Ho 59 anni, sono nata in Ucraina e spero che qui resti Ucraina; ma se non ci saranno soldati russi e sarà zona amministrata da loro vale la pena pensarci, no?».

«No, non è giusto. Che senso ha avuto allora questa guerra? Sono morti così tanti — si indigna Olga, 45 anni, volontaria e moglie di un soldato, mai un passo fuori Sloviansk — l’abbiamo difesa per 4 anni… Se alle truppe ucraine verrà detto di ritirarsi si chiederanno a cosa è servito tutto questo. È uno schiaffo in faccia a noi che siamo rimasti, e credevano sarebbe rimasta qui anche l’Ucraina». Il marito, al fronte non lontano, oggi l’ha chiamata al telefono: «Abbiamo parlato del piano, dice che se verrà adottato dovremo andarcene. Abbiamo un appartamento qui, non avremo più niente. Ma vivere in una zona grigia significa essere in un limbo senza lavoro, senza vita normale, senza progresso, solo regressione. Non voglio sparino, uccidano e distruggano tutto; ma se diventa Russia ce ne andremo».

A pochi chilometri da Sloviansk, su alture ben protette c’è Kramatorsk che i russi tentarono inutilmente di prendere già nel 2014. La strage di civili alla stazione resterà nella storia degli orrori, ma ora potrebbero vincerla al tavolo da poker del negoziato. Vita Nezhdenko, 51 anni, imprenditrice, a Kramatorsk ha casa dei genitori e un appartamento. Marito e figli vivono a Kiev e Dnipro ma lei si prende cura della madre disabile che non vuole andarsene. «Non saremo in Ucraina né in Russia, ma in una zona grigia. Meglio vivere in una zona cuscinetto che finire come Bakhmut o Pokrovsk. Avevamo parenti a Donetsk, chissà se potremo andare a pregare sulle loro tombe e andare in Ucraina da figli e amici». Guarda avanti, Vita: «È ora di fermarsi. Conoscenti si sono trasferiti a Melitopol e Dzhankoy occupate dai russi e si trovano bene, non ci sono bombardamenti. E poi che senso ha combattere per il nostro governo corrotto? Ricchezze minerarie e terra non appartengono mica a noi, è tutto così ingiusto. Ci penserò due volte, ma ora bombardano e dobbiamo pensare a sopravvivere. Magari mi trasferirò a Kharkiv o a Poltava, ma è meglio una cattiva pace che una guerra continua». Non per Oleksiy e Irina Lipatin, marito e moglie, 70 e 52 anni, imprenditori di Kramatorsk. «Sono nato russo ma voglio che l’intera regione sia ucraina», dice lui. «Non sono d’accordo per niente con questo piano — dice Irina — non voglio sentire la parola Russia per altri 150 anni».

Il dibattito è lacerante: «Non è un piano, è capitolazione», dice Natalia Kirnas su Facebook. «Non ci sarà un altro piano — replica Antonina Pavlovna — e i tedeschi hanno firmato la capitolazione nel 1945 e guarda come vivono». «Ci hanno già dato garanzie di sicurezza a Budapest, una volta: solo un completo idiota calpesta lo stesso rastrello», sostiene Dmytro Lopashchuk. «E dobbiamo lasciare che i ragazzi continuino a morire e questi schifosi guadagnino dalla guerra? Questo inferno deve finire», replica Olga Kruglik. «Nelle retrovie e al fronte – dice Katerina Zarembo, analista e scrittrice ma oggi paramedica nel Battaglione ospedalieri – sono così stanchi… ma non abbiamo dove ritirarci, capite? Non c’è nessuno dietro. Solo la perdita dell’indipendenza, e lo spreco di tutti i sacrifici e gli sforzi».